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Riportiamo l’editoriale del n. 54, febbraio 2004, del Notiziario informativo del Cir/Ssi, Centre international de référence pour la protection de l’enfant dans l’adoption / Service Social International 1 (32, Quai du Seujet, 1201 Ginevra, Svizzera).

L’adozione è essenzialmente una misura di protezione del bambino privo di famiglia. Si fonda sull’interesse del bambino e non sui desideri degli adulti. Consiste nel dare una famiglia a un bambino e non un bambino a una famiglia.

Apparentemente questi principi sono condivisi da tutti. Tuttavia, la politica interviene in diversi aspetti dell’adozione: requisiti di alcuni Stati di accoglienza, regolamentazione da parte degli Stati di origine e iniziative personali.

Ancora recentemente, in effetti, alcuni Stati di accoglienza si sono posti come obiettivo un consistente aumento delle adozioni per i loro cittadini o hanno promesso di “facilitare” le procedure intraprese dagli adottanti. Oppure hanno utilizzato l’adozione come elemento di trattativa, nonché come pressione diplomatica nei confronti dei Paesi d’origine.

Perché da qualche anno l’adozione è diventata un tema politico? Non sarà forse perché gli aspiranti genitori adottivi rappresentano un non trascurabile gruppo di possibili elettori?

Secondo l’Unicef (si veda il sito del Cir/Ssi: www.iss-ssi.org) “Per quel che riguarda i bambini in buona salute le domande di adozione sembrano superiori al numero dei bambini adottabili (…) Sembra invece evidente il contrario nel caso di bambini ritenuti di difficile collocazione (bambini con necessità particolari per i quali c’è una grave carenza di potenziali genitori adottivi”.

In questo contesto le pressioni dei Paesi di accoglienza in favore dell’adozione di bambini piccoli senza gravi problemi di salute rischiano di alimentare l’abuso dell’adozione internazionale e quindi di non rispettare l’interesse superiore del bambino.

Per reazione alcuni Paesi d’origine tendono a eliminare l’adozione internazionale, di fatto o di diritto, per esempio riservandola ai loro cittadini residenti all’estero. Altri scoraggiano gli adottanti stranieri imponendo loro, ad esempio, come condizione per l’adozione, un periodo preventivo di residenza nel Paese d’origine di lunga durata, limitano l’adozione internazionale ai bambini grandicelli o che non possono essere assistiti in maniera adeguata presso le locali strutture residenziali, oppure prevedono di abolire l’intervento degli enti autorizzati per le adozioni internazionali.

Ricordiamo che le adozioni internazionali (e nazionali) sono prima di tutto una misura di protezione del bambino anche se resta molto da fare per calibrarle sui bisogni dei bambini, per definire regole valide per la loro realizzazione e per contenerne i costi, due obiettivi previsti dalla Convenzione de L’Aja del 1993.

La sospensione temporanea delle adozioni internazionali da parte di un Paese d’origine o di accoglienza quando ci sono altissimi rischi di abusi gravi, può essere una decisione costruttiva e responsabile. Ma quando un Paese d’origine limita o sopprime l’adozione internazionale in presenza di un gran numero di minori istituzionalizzati, questo ci pare in contrasto con i diritti dei bambini, specialmente di quelli con particolari difficoltà.

D’altra parte in certi Paesi d’origine o di accoglienza sono gli organi politici (centrali o locali) che decidono sull’accreditamento degli organi di adozione, sull’idoneità degli adottanti e sulla stessa adozione. Anche se i politici si avvalgono della consulenza di professionisti, il rischio di far prevalere altri interessi (nazionali, elettorali…) rispetto a quelli del bambino è insito in questo tipo di procedura.

È dunque opportuno riorganizzare in ogni Paese il sistema attraverso un insieme di misure coordinate sia in campo nazionale che in campo internazionale che abbiano lo scopo di incentrare l’azione sull’interesse preminente dei bambini. Ma tale riorganizzazione presuppone in primis di affidare a dei professionisti tutto il procedimento (e cioè sia il lavoro psico-sociale sia la competenza decisionale) di impostazione e realizzazione di un progetto familiare a lungo termine (reinserimento nella famiglia d’origine o, sussidiariamente, adozione) per i bambini in carico. Questi professionisti nel campo dell’infanzia e della famiglia (servizi sociali locali, strutture residenziali, autorità centrali, enti autorizzati per l’adozione) devono essere indipendenti dagli ambienti politici, devono essere preparati, sottoposti a verifiche e alla supervisione del loro lavoro da un organismo di tutela e/o da esperti indipendenti.

L’adozione non è una questione politica ma uno strumento di protezione per determinati bambini. Perciò deve essere difesa dalla strumentalizzazione di gruppi di pressione, nonché dall’uso politico, economico o diplomatico, e deve garantire la preminenza dell’interesse del bambino attraverso la professionalità e il rispetto dei principi etici da parte di coloro che operano nel settore.

(traduzione a cura dell’ANFAA)

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