Gli aspetti fondanti del rapporto adottivo
La voce dei protagonisti: figli e genitori si raccontano
Roma, Sala della Mercede (Camera dei deputati) Via della Mercede 55
Gruppo Genitori Adottivi Anfaa
La testimonianza di Iliana
Come genitore io vorrei partire dalla fine, ovvero dal ringraziare l’Anfaa, il suo fondatore Francesco Santanera, che 50 anni fa decise di impegnarsi in una battaglia che ha messo al centro dell’attenzione i diritti dei bambini, i presidenti che l’hanno guidata in questi anni e in particolare Donata Nova Micucci per il grande impegno, intellettuale, emotivo e fisico che profonde nell’Associazione, ma anche Frida Tonizzo per l’instancabile attività di studio e verifica affinché le istituzioni preposte alla tutela dei minori facciano il loro dovere e, sinceramente, tutte le persone che a titolo completamente volontario ne fanno parte per il grande sostegno che danno a tutti noi famiglie adottive.
Mi ricordo che appena rientrata dall’Ungheria, bellissimo Paese in cui io e mio marito abbiamo incontrato i nostri figli, due meravigliosi maschietti di 7 e 8 anni all’epoca, io ero felice e preoccupata al tempo stesso. Sarò in grado, io, di essere madre? Saprò sempre comportarmi nel modo giusto? Avrò tutte le risposte alle loro domande?
In sintesi: sarei riuscita a trasferire loro quell’amore immenso che provavo dentro di me?
E mi ricordo il grande sollievo e conforto che mi davano gli incontri dell’Anfaa, il poter condividere con altri genitori pensieri, paure, emozioni. Ascoltare Paolo Raspanti, genitore adottivo e pluriaffidatario, nonché vicepresidente dell’Associazione, che veniva ogni mese da Firenze per stare insieme a noi, e raccontarci con grande ironia le sue esperienze familiari, o sentire Mariangela, che aveva adottato qualche anno prima, parlarci del rapporto con sua figlia, una bellissima bimba burkinabè, o condividere il desiderio di Catia, di poter avere un altro figlio con l’adozione, in modo da ampliare la sua famiglia già ricca di una figlia biologica, e tante altre persone che qui non posso nominare tutte ma che ringrazio di cuore, e concludere che, in fondo, era tutto così naturale e semplice. Bastava essere sé stessi, lasciarsi andare e sentirsi genitori a tutti gli effetti.
Era quello che volevamo, che avevamo sempre desiderato. Ora bastava viverla, questa nuova dimensione. E il modo migliore per poterlo fare, perché sicuramente il più giusto, era quello di mettersi dal punto di vista del bambino.
Ciò che mi ha conquistato dell’Anfaa, ed il motivo per cui insieme ad altri amici abbiamo fondato la sezione di Roma, è questo mettersi sempre dal punto di vista del bambino, ovvero del più debole.
Noi non volevamo far parte di un’associazione che difendesse i genitori, ma di un’associazione che stesse dalla parte dei bambini (qualsiasi genitore, d’altronde, vuole prima di tutto il bene dei propri figli, prima ancora del proprio).
Volevamo una associazione che affermasse il diritto di ogni bambino a crescere in famiglia, innanzi tutto in quella di origine, e solo quando ciò non sia possibile, in una affidataria o adottiva, a seconda delle situazioni. Volevamo un’associazione che promuovesse interventi nei confronti delle istituzioni per ottenere l’esigibilità di diritti sanciti dalla legge.
Per noi questo è il punto fondamentale: richiamare le istituzioni a fare il proprio dovere, che significa prendersi cura dei più deboli.
E questa cura si deve concretizzare, come è stato già detto, nel favorire il parto in sicurezza per qualsiasi donna si trovi in Italia, nel sostenere le famiglie in difficoltà con interventi socio-assistenziali mirati, nel prevedere l’affidamento nei casi in cui, nonostante gli interventi già previsti, sia necessario un sostegno familiare aggiuntivo, per arrivare, come ultima possibilità, all’adozione per quei bambini che non possono contare su nessun altro.
E’ per questo motivo che per noi l’iter che porta all’ottenimento del decreto di idoneità deve essere un percorso non solo necessario, ma che va condotto con grande competenza e serietà e in stretta collaborazione tra i servizi pisco-socio-sanitari e il Tribunale per i Minorenni.
Non ci interessano scorciatoie, non vogliamo procedimenti veloci, quanto percorsi formativi, che ci aiutino a riflettere e a guardare dentro di noi, in profondità e onestà, e con modalità del tutto trasparenti, cosa che solo un servizio pubblico può garantire. Certo, nessuno auspica tempi biblici. Ma dal nostro punto di vista è meglio qualche incontro di coppia in più, piuttosto che un procedimento affrettato o superficiale.
Per inciso la velocità andrebbe usata invece nei confronti dei bambini, ad esempio attraverso tempestive e ben documentate segnalazioni alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di quelli che potrebbero essere in stato di adottabilità, o per ridurre i tempi di quei “collocamenti provvisori” (altrimenti definiti affidamenti “a rischio giuridico”) in attesa della conclusione del procedimento, che può durare anni e che lascia il bambino (e la famiglia che lo ha accolto) in un limbo destabilizzante.
Per tornare a noi adulti c’è addirittura chi sostiene che l’indagine psico-sociale che conduce al decreto di idoneità dovrebbe essere eliminata, per accorciare i tempi del procedimento. Che errore sarebbe! Essere genitori adottivi è una grande responsabilità, significa prendersi cura di bambini che hanno già sofferto molto, che hanno subito l’abbandono (che è una vera e propria violenza), che sono stati quasi sicuramente trascurati, molto spesso maltrattati, o addirittura abusati. Non si può avere la presunzione di essere preparati a tutto ciò. Non si può pensare che per adottare basti essere “brave persone”.
Bisogna riflettere, prima, sul significato vero dell’adozione. Bisogna sentirlo nostro prima quel figlio che poi arriverà. Bisogna assimilare bene l’idea che l’adozione significa dare due genitori a un bambino, e non viceversa.
Noi adulti non abbiamo alcun diritto a diventare genitori. Noi possiamo avere un sano desiderio di diventarlo. Per il bambino invece è un bisogno vitale poter crescere in una famiglia amorevole.
Ed è per questo che il diritto è del bambino.
E questo va capito prima e bene. Per poter essere veri genitori poi. Per poter accogliere quel bambino che arriverà come figlio, ovvero come un dono, che noi ameremo in modo incondizionato, perché un figlio nessuno lo sceglie prima, neanche chi lo partorisce, è quello che è, e come tale va amato, curato, cresciuto.
A rischio di apparire presuntuosa voglio dire che dal mio punto di vista le cosiddette “restituzioni” o fallimenti adottivi sono inconcepibili. Nessuno dovrebbe mai neanche solo pensare di poter restituire un figlio. Un figlio non si restituisce, un figlio si ama. Un figlio difficile si ama di più. Perché la scelta è nostra, lui non ha chiesto niente.
Se questo è vero, è anche vero che in certi casi non dovremmo essere lasciati soli. Penso che le istituzioni dovrebbero sostenere, con interventi di aiuto concreto, le adozioni di bambini più grandicelli, cioè maggiori di 12 anni, o di bambini disabili. E questo non significa certo consentire l’adozione di questi bimbi a persone singole o anziane, ma esattamente il contrario! Se questi bimbi hanno bisogni speciali, i genitori adottivi devono essere i migliori possibili, e per migliori intendo quelli che più rispondono alle esigenze di quel bambino: essere giovani, ad esempio, per avere le forze, anche fisiche, che servono; essere in coppia, ad esempio, ed avere una vita ricca di relazioni; essere persone aperte, flessibili, in grado di accettare i propri limiti per poter accogliere quelli dei figli ed essere così bravi genitori, capaci di stringersi al cuore bimbi che magari non sanno abbracciare o manifestare affetto, perché quell’affetto non l’hanno mai ricevuto prima. Spesso in queste situazioni i genitori hanno bisogno di farsi aiutare, devono ricorrere a specialisti, a chi, per professione, si prende cura di bambini in difficoltà: psicologi, psicoterapeuti, logopedisti, neuropsichiatri, fisioterapisti, educatori specializzati.
Per questo tutte le regioni dovrebbero prendere esempio dalla Regione Piemonte, che, anche grazie al costante lavoro di sensibilizzazione dell’Anfaa, ha emesso una delibera per sostenere queste adozioni “difficili” attraverso un contributo economico.
Anche questo significa riconoscere ed accogliere la storia di un figlio.
Claudia e Graziella si sono particolarmente soffermate sull’importanza dell’informazione al figlio riguardo la sua provenienza. Questo è un aspetto fondamentale, ed è una nostra precisa responsabilità di genitori, non tanto perché lo stabilisce la legge, ma perché è davvero il fondamento del rapporto adottivo. Ovviamente questo nostro compito andrà espletato con modalità diverse a seconda dell’età in cui il figlio entra in famiglia, e nel rispetto della sua personalità.
Ma il principio è sempre lo stesso: il rapporto genitori-figli è un rapporto d’amore, che deve necessariamente fondarsi sulla fiducia, sul dialogo, sulla verità.
Si è parlato di verità narrabile. Nel nostro caso, ad esempio, si dovrebbe parlare di verità costruibile, ovvero di una storia pregressa da costruire insieme, noi e i nostri figli. Noi infatti abbiamo pochissime informazioni sul loro passato. Loro hanno sicuramente ricordi, che però faticano a emergere o sono flash, immagini, a cui c’è bisogno di dare un senso. Nel nostro caso quindi il tema è quello di creare un’atmosfera aperta al dialogo, disponibile ad accogliere ciò che vogliono o possono raccontare, sostenendoli nell’elaborazione di un significato che consenta a loro e a noi di costruire un ponte tra ciò che è stato prima e la famiglia che c’è adesso e che ci sarà per sempre.
E questo lo si può fare solo se ci si sente appieno genitori, se non si ha niente da nascondere, se non ci si sente deprivati per il fatto di non averli fisicamente generati o portati in pancia.
Per quanto mi riguarda, come madre, per me è solo questa la differenza. Da dove sono venuti. Non dalla mia pancia, ma da un’altra. Tutto qui. Ma dal primo momento in cui li ho visti, addirittura dalla prima foto che ho ricevuto a seguito dell’abbinamento deciso dall’autorità straniera, io li ho sentiti completamente miei.
Nei loro occhi ho visto i miei, nel loro bisogno d’amore ho visto il mio desiderio di amarli. E questo sentimento è cresciuto, e cresce, giorno dopo giorno, con un’intensità che non avrei mai potuto immaginare prima, e regalandoci una pienezza di vita che è difficile rendere qui in due parole, ma che ha donato a me e a mio marito una gioia grandissima, che nessuno potrà mai portarci via.
Questo lo dico per chi crede che noi genitori adottivi si abbia paura di perdere qualcosa per il fatto che i nostri figli, ormai adulti, possano rintracciare o allacciare legami con le persone che li hanno generati.
Cosa potrebbero togliermi da adulti? La gioia di averli amati da quando li ho incontrati? La gioia di continuare ad amarli? Impossibile. Io non ho niente da perdere.
Naturalmente questa serenità e appagamento deriva anche dal sapere che, attraverso l’adozione, i nostri figli hanno avuto la famiglia cui avevano diritto e che, nel loro Paese, non potevano avere. Per questo è importante un’attività seria da parte degli Enti Autorizzati, che devono agire nell’ottica della residualità e sussidiarietà dell’adozione, promuovendo interventi finalizzati a prevenire l’abbandono nei paesi in cui operano. E per questo è fondamentale il lavoro di supervisione e controllo da parte della Commissione per le Adozioni Internazionali: così come in Italia, anche all’estero i bambini adottabili devono essere unicamente quelli che non hanno più nessuno che possa occuparsi di loro, e per i quali l’adozione internazionale diventa l’unica possibilità di vita.
E’ per questo che alle volte diciamo che l’adozione è una seconda nascita. Questo non significa negare la prima, anzi. Abbiamo ampiamente parlato del tema centrale delle origini. Ma io credo che, con altrettanta convinzione dobbiamo affermare la nostra legittimità di famiglia. La nostra certezza sull’essere gli unici genitori che i nostri figli potessero avere, ci dà quella serenità che possiamo trasferire loro, e di cui hanno bisogno proprio per elaborare la propria storia e fondare la loro esistenza su basi sicure.
Non possiamo non considerare l’importanza che assume l’atteggiamento dell’ambiente familiare e sociale, a partire dalla scuola, nel processo di identificazione del bambino con i suoi genitori.
Atteggiamenti di scarsa comprensione o addirittura di rifiuto o non accettazione da parte di insegnanti e compagni possono avere ripercussioni molto pesanti sull’equilibrio del bambino.
La scuola rappresenta un servizio pubblico di primaria importanza per la formazione dei nostri ragazzi e andrebbe sostenuta, rafforzata, aggiornata.
Spiace invece constatare come ancora molti testi scolastici continuino a esprimere, in materia di filiazione, una concezione esclusivamente di tipo fisiologico, ormai largamente superata, non solo in quanto inadeguata rispetto alle “nuove” famiglie – come quelle adottive – i cui componenti sono legati tra loro non da vincoli di sangue ma di affetto, ma soprattutto perché, per tutti i bambini, sono proprio i legami affettivi che sostanziano il rapporto genitori-figli.
Da questo punto di vista fondamentale è l’uso dei termini corretti. Troppe volte ci imbattiamo in programmi o articoli su quotidiani e riviste, in cui il ruolo dei genitori adottivi viene completamente disconosciuto. Troppe volte ormai abbiamo visto trattare il tema dell’adozione in modo scorretto e fuorviante.
Vorremmo che anche nei programmi televisivi e sulla stampa venisse riconosciuto il significato e il valore dell’adozione che è la modalità con cui una donna e un uomo diventano madre e padre a tutti gli effetti (affettivi, psicologici, giuridici), di un bambino nato da altri e da loro accolto, amato e protetto.
La modalità con cui, di conseguenza, il bambino diventa loro figlio a pieno titolo.
Come hanno già evidenziato Claudia e Graziella, ai soli fini di aumentare l’audience dei programmi, si va sempre alla ricerca del caso particolare, eclatante o strappalacrime che sia.
Dal nostro punto di vista è inaccettabile vedere considerati genitori adottivi chi si procura a tutti i costi un bambino, ricorrendo anche a espedienti illegali. Allo stesso tempo non vogliamo neanche essere percepiti come dei benefattori, persone che operano un gesto di grande umanità accogliendo un bambino abbandonato, ma che comunque non diventano i suoi “veri” genitori. Un po’ come quando si riveriscono tanto le donne ma in fondo le si considera inferiori.
Noi genitori adottivi vogliamo invece essere considerati al pari di quei genitori biologici che amano, educano e proteggono i loro bambini (e che sono per fortuna la stragrande maggioranza).
Noi siamo genitori come tutti gli altri, veri e vivi come tutti gli altri, con le nostre gioie e le nostre fatiche, nelle difficoltà e nelle conquiste, come in tutte le famiglie è (o dovrebbe essere), da ovunque e comunque arrivino i figli a completarle. Genitori, insomma, senza ulteriori specificazioni.