torna all’indice del Bollettino 1 2013

Testimonianze

Riportiamo la testimonianza postata su “Italiaadozione” il 2-3-2013. 

Tessiamo una tela di condivisione 

“Prendi la tua tristezza in mano e soffiala nel fiume”.
Fabrizio De Andrè

Quando mi è arrivata la notizia del suicidio di Habtamu, il ragazzo etiope di Paderno Dugnano, la prima reazione è stata sinceramente quella di nascondere la testa sotto la sabbia, non pensarci, non ricordare un dolore che non scompare mai del tutto e fa parte di me, tanto a che serve? Mi son detta che avevo tutto il diritto di preservarmi, che non era necessario per forza dire o pensare qualcosa, mi ha preso un senso di smarrimento doloroso, fisico, all’idea di una fragilità così profonda e sperduta, che ancora una volta lascia attoniti e impietriti in preda ad affannose domande a cui non c’è risposta.

Poi però, è nata l’esigenza imprescindibile e violenta di andare oltre e parlarne, sì, perché se qualcosa ne possiamo fare di questo sgomento che ci ha colti tutti, credo che sia proprio questo, confrontarci con le nostre più ancestrali paure ed aprire un dibattito sincero e libero da tabù e pregiudizi. Toglierci la maschera e guardarci negli occhi, concedendo a noi stessi di essere atterriti e sconfortati ma non per questo meno pronti allo scambio e alla condivisione.

Togliamo il velo di Maya che ci culla nell’idea che amore e accoglienza sanino le ferite e annullino il dolore precedente e che copre la famiglia adottiva e nasconde le dinamiche complesse e articolate che la animano; in dubbio non c’è l’emozione o il sentimento che la abitano ma certo dobbiamo considerare il percorso necessario a far si che quel figlio, che ha sì trovato genitori amorevoli riesca però anche a ricostruire il puzzle intricato della propria esistenza, perché riconoscere le proprie radici serve a farci guardare avanti.

Certo, è una strada che ognuno compie per se stesso ma l’aiuto, l’appoggio, l’esperienza di chi già si è confrontato con determinate problematiche sono una risorsa preziosa, perché una famiglia adottiva non può e non deve essere lasciata sola di fronte al sorgere delle tante domande, paure e incertezze proprie di tutti gli esseri umani, ma che in un figlio adottivo sono accompagnate da esperienze spesso traumatiche e di difficile elaborazione. Da tempo ci si sta muovendo in questa direzione, ma forse non è abbastanza se leggiamo ancora di ragazzini che invece di affrontare il futuro con ingenua curiosità e speranza, con rabbia e determinazione, non trovano via d’uscita, non un luogo, fisico o emotivo, dove riversare l’angoscia fuori da sé ed essere in questo accolti e accompagnati, così come le loro famiglie che dinanzi a ciò non possono avere i mezzi da sole per sanare ferite così profonde e logoranti.

Prendiamo insieme atto che l’adozione oltre a tutta la positività che racchiude, porta un bagaglio di sfumature da non temere, da non nascondere anzi da considerare spunto e stimolo, perché non c’è niente che faccia più paura dell’ignoto e anche ciò che sembra inconfessabile e indicibile una volta condiviso perde la sua faccia terribile e si rivela per ciò che è: splendida e umana fragilità che non può spaventare,  ma solo essere abbracciata. Ed eccolo qui, il nostro impegno comune per il futuro, far si che intorno alle famiglie adottive si tessa sempre più una tela di pensieri condivisi e paure raccontate, senza timore di appannare quello che resterà sempre e solo un atto d’amore.

Devi Vettori

Laurea in lettere al D.A.M.S., studente di antropologia culturale, figlia adottiva nata a Tamil Nadu in India nel 1984. Appassionata di storie e scrittura.

(Blog di Devi: duebobieungigiincamper, un posticino per me)