torna all’indice del Bollettino 3-4 2013

Notiziario dalla Sede Nazionale

tratto da Prospettive assistenziali n. 183-184

 

 

IMPORTANTE CIRCOLARE SULL’AFFIDAMENTO FAMILIARE DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI DEL PIEMONTE E VALLE D’AOSTA

 

Anche a seguito di segnalazioni e sollecitazioni dell’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), il Presidente del Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta, d’intesa con il Procuratore della Repubblica presso lo stesso Tribunale, ha inviato la Direttiva che riportiamo, inoltrata dalla Direzione politiche sociali e politiche per la famiglia e la Direzione sanità della Regione Piemonte agli Enti gestori delle funzioni socio-assistenziali, ai Direttori delle Aziende sanitarie locali e alle associazioni di volontariato impegnate nel settore degli affidamenti e delle adozioni.

Riteniamo positivo il richiamo alle finalità dell’affidamento familiare in essa contenute e alle competenze delle istituzioni richiamate.

Rispetto alla durata degli affidamenti dobbiamo rilevare che la proroga si rende sovente necessaria in considerazione della gravità della situazione familiare degli affidati; secondo gli ultimi dati forniti dalla stessa Regione Piemonte su 1.364 minori affidati (compresi anche quelli a parenti) 224 erano affidati da due a quattro anni e 410 da oltre i quattro anni.

Già nel 2009 nel 2° Rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, curato dal Gruppo di lavoro coordinato da Save the children, si segnalava che: «Fermo restando che obiettivo prioritario è, per quanto possibile, il rientro del bambino nella sua famiglia di origine, va precisato che un affidamento non può essere giudicato riuscito o meno solo in base alla sua durata e al rientro nella sua famiglia d’origine. L’attuale disciplina legislativa non pregiudica la possibilità di disporre affidamenti anche a lungo termine, se nell’interesse del minore e non come conseguenza di “incuria” da parte dell’ente locale. Infatti il limite di 2 anni, previsto dal legislatore nel 2001 per gli affidamenti consensuali realizzati dal Servizio locale d’intesa con la famiglia d’origine o col tutore dei minori, può essere prorogato dal Tribunale per i minorenni, in applicazione dell’articolo 4 della legge 149/2001, come già avviene in diverse giurisdizioni».

D’altra parte, se esaminiamo i dati emersi dalle prime risultanze dell’indagine “Bambine e bambini allontanati dalla famiglia d’origine. Affidamenti familiari e collocamenti in comunità”, diffusi nel 2012 (1) risulta che il 37% dei bambini è stato allontanato per inadeguatezza genitoriale, il 9% per problemi di dipendenza di uno o entrambi i genitori, l’8% per problemi di relazioni nella famiglia, il 7% per maltrattamenti e incuria e il 6%, infine, per problemi sanitari di uno o entrambi i genitori. Spesso a queste problematiche relazionali interne alla famiglia si sommano difficoltà economiche, abitative e lavorative di uno o entrambi i genitori.

 

Direttiva dei Giudici del Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta

«Di fronte all’estrema importanza dell’istituto giuridico dell’affidamento etero familiare, valida alternativa alla comunità educativa, noi Giudici in servizio al Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta pensiamo che sia importante ribadire e fissare alcuni punti che già stanno caratterizzando le prassi in uso da parte degli operatori dei servizi territoriali e introdurre alcune precisazioni e/o raccomandazioni per garantire una corretta applicazione dell’istituto in esame e per attuare una sempre più incisiva ed efficace tutela dell’infanzia in difficoltà.

  1. L’affidamento etero familiare è un istituto giuridico che ha natura provvisoria, finalizzato a garantire il superamento, attraverso ogni forma di sostegno, delle condizioni di disagio della famiglia d’origine del minore. La sua durata massima è quindi indicata dal legislatore in due anni, periodo normalmente sufficiente per il superamento da parte della famiglia d’origine delle difficoltà riscontrate; è però possibile una proroga dell’affidamento nei casi in cui le difficoltà della famiglia d’origine non siano venute meno. In queste situazioni il Tribunale può adottare ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore, tra i quali rientra certamente la proroga dell’affidamento in atto. In altri casi invece l’affidamento è disposto per un periodo di tempo inferiore ai due anni, ritenuto dal Tribunale sufficiente.
  2. Ogni sei mesi il Consorzio dei servizi sociali (2) che segue il singolo caso di affidamento deve relazionare al Tribunale per i minorenni sull’andamento dell’affido. Nel caso in cui vi siano dubbi o problemi, potranno essere contattate le assistenti sociali dell’Ufficio adozioni del Tribunale che si occupano anche degli affidamenti.
  3. La proroga dell’affidamento (anche se nato consensualmente) trascorsi i primi due anni spetta al Tribunale per i minorenni. Almeno sei mesi prima della scadenza il servizio sociale che segue il minore dovrà inviare una relazione alla Procura della Repubblica minorile, ufficio che, valutata la situazione, potrà eventualmente presentare un ricorso al Tribunale per la proroga. Nel caso in cui non vi sia questa attivazione il minore dovrà rientrare in famiglia alla scadenza del termine fissato per la durata dell’affidamento.
  4. Non sono ammissibili proroghe di fatto gestite autonomamente (e abusivamente) da parte del servizio sociale, a meno che al momento della scadenza dell’affidamento sia pendente un procedimento civile per la proroga. Nel caso in cui si riscontri una situazione di possibile abbandono da parte della famiglia d’origine (anche sotto l’aspetto della perdurante grave inadeguatezza) o anche soltanto il dubbio di una siffatta situazione, il servizio sociale dovrà immediatamente segnalare la situazione nella sua oggettività alla Procura della Repubblica minorile.
  5. Nel corso del processo avente ad oggetto l’eventuale proroga dell’affidamento, devono essere sentiti gli affidatari; essi non essendo parte processuale non sono legittimati a costituirsi e a depositare memorie difensive ma la loro voce deve avere spazio nel processo.
  6. È auspicabile che, come già avviene in alcune parti del territorio, al momento dell’avvio dell’affidamento sia consegnata alla famiglia affidataria una scheda o una relazione contenente il dispositivo del provvedimento e ogni notizia utile sulla famiglia d’origine e sulle condizioni fisiche e psicologiche del minore. In particolare dovranno essere fornite chiare indicazioni sui diritti della famiglia d’origine e sui poteri degli affidatari. Dovranno anche essere indicate le misure sociali e psicologiche a sostegno del minore. Nel caso in cui sussistano dubbi interpretativi su aspetti processuali, l’operatore dovrà consultare il tutore e il curatore, se nominati, oppure il Tribunale (ove esiste un ufficio per i contatti con i servizi territoriali), evitando in ogni modo di trasmettere notizie infondate che potrebbero provocare danni anche al minore (come avvenuto di recente con la comunicazione agli affidatari ed al minore ormai grandicello, della definitiva sentenza di adozione con interruzione dei rapporti con le origini quando invece era stato presentato reclamo alla Corte di Appello).
  7. Gli affidatari dovranno essere aggiornati tempestivamente sugli sviluppi dei procedimenti relativi al bambino da loro accolto e a loro dovranno altresì essere segnalati tempestivamente fatti salienti riguardanti la famiglia d’origine che possano comportare ripercussioni sul progetto di affido del minore.
  8. Si richiama il decreto della Giunta della Regione Piemonte del 28 novembre 2012, n. 27-4956, che all’esito di un lungo confronto tra l’Autorità giudiziaria minorile e gli operatori dei servizi socio-sanitari, ha formulato le indicazioni operative per i servizi sociali e sanitari sulla fase di passaggio del minore dalla famiglia affidataria a quella a rischio giuridico (idonea alla sua possibile adozione). In linea generale, anche nel caso di rientro del bambino nella sua famiglia d’origine, il passaggio dovrà avvenire con gradualità e se possibile si dovrà favorire il mantenimento di un rapporto tra il bambino e la famiglia affidataria.
  9. Le famiglie affidatarie devono essere scelte e preparate a costituire una risorsa di accoglienza temporanea, quale aiuto alla famiglia d’origine del bambino ed al bambino stesso in un contesto progettuale di aiuto deciso dai servizi.

Si pregano i destinatari di diffondere le sopraindicate direttive a tutti gli operatori dei servizi socio-sanitari del territorio. La Segreteria le trasmetterà alle Associazioni di famiglie affidatarie e adottive che operano nelle due Regioni.

Il Presidente del Tribunale per i minorenni, Fulvio Villa

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni,

Anna Maria Baldelli Torino, 11 giugno 2013».

 

 

(1) Ministero del lavoro e delle politiche sociali, “Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine. Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31 dicembre 2010. Sintesi delle prime risultanze”, in Quaderni della ricerca sociale n. 19/2012.

(2) Deve intendersi per Consorzio l’Ente gestore delle funzioni socio-assistenziali.

 

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Iniziative in merito alle esigenze e ai diritti delle gestanti in difficoltà e dei loro nati e ALla salvaguardia del diritto alla segretezza del parto

 

L’Anfaa, come ampiamente documentato anche su questa rivista, è impegnata da decenni insieme alle organizzazioni aderenti al Csa (Coordina­mento sanità e assistenza tra i movimenti di base), di cui fa parte, a promuovere le esigenze ed i diritti delle gestanti e madri con gravi difficoltà familiari e dei loro nati, compreso quello relativo alla segretezza del parto.

Su queste tematiche ha organizzato anche seminari e convegni: ultimo in ordine di tempo il Convegno nazionale sul tema “Mai più sole: le esigenze e i diritti delle gestanti e madri con gravi difficoltà personali e familiari e dei loro nati. La prevenzione degli abbandoni e degli infanticidi” del 10 ottobre 2010 a Roma, Palazzo Marini, promosso dall’Anfaa insieme all’Associazione promozione sociale e alla rivista Prospettive assistenziali (1). Più recentemente queste problematiche sono state affrontate anche nell’ambito del Convegno “Adozioni nazionali e internazionali. Ieri, oggi e domani” del 12 dicembre 2012 con una relazione sul tema “La salvaguardia del diritto alla segretezza del parto e il sostegno alle gestanti e madri in gravi difficoltà”.

 

Il VI Rapporto Crc

Nel VI Rapporto “I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia” (2) del Gruppo Crc (3), cui l’Anfaa aderisce, presentato nel giugno 2013, il tema viene affrontato nel paragrafo “Il diritto della partoriente a decidere in merito al riconoscimento del proprio nato e il diritto del minore all’identità”.

In esso si mette in evidenza che «tra le ge­stan­ti vi è una fascia particolarmente vulnerabile, costituita da coloro che vivono situazioni di grave emarginazione, sovente giovani o giovanissime e che necessitano di supporti non solo sanitari (a livello consultoriale o ospedaliero) ma anche socio-assistenziale prima, durante e dopo il parto. Tali supporti assistenziali sono necessari in quanto queste donne possono trovarsi in gravi emergenze (ad esempio perdita o mancanza di lavoro e/o della casa, insufficienza del reddito, ecc.) che non riescono ad affrontare da sole e sono prese in carico dai servizi».

Viene altresì precisato che «il regio decreto legge n. 798 del 1927, convertito nella legge 2838/1928, concernente l’ordinamento del servizio di assistenza dei fanciulli illegittimi, abbandonati o esposti all’abbandono, disponeva che fossero le Amministrazioni provinciali ad assistere i minori, figli di ignoti e quelli nati fuori dal matrimonio riconosciuti dalla madre e in condizioni di disagio socio-economico. La legge 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (4) all’articolo 8, comma 5, ha attribuito alle Regioni il compito di disciplinare il trasferimento ai Comuni o ad altri Enti locali delle funzioni di cui al regio decreto citato. Alle Regioni compete quindi, in base alla stessa legge, di definire il passaggio ai Comuni o ad altri Enti locali delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali occorrenti per l’esercizio delle funzioni suddette. A tutt’oggi ci sono Regioni che non hanno ancora legiferato in materia ed altre (ad esempio la Lombardia e l’Emilia-Romagna) (5) che lo hanno fatto, attribuendo però a tutti i Comuni tali competenze, non tenendo conto della complessità e varietà delle problematiche coinvolte. Spesso le partorienti necessitano di interventi specifici, altamente specializzati, legati alla loro difficile condizione (6), che i piccoli Comuni non sono in grado di garantire. Inoltre, accanto a gestanti che hanno deciso di riconoscere il loro nato e prendersene cura, potendo contare sul supporto dei servizi socio-assistenziali del proprio territorio e degli interventi sopra richiamati, ci sono anche donne incerte, che non sanno se riconoscere il figlio o meno, e altre ancora che hanno già deciso di non riconoscerlo, avvalendosi del diritto alla segretezza del parto (7). Infine ci sono donne che, non conoscendo il loro diritto di partorire in anonimato, non accedono ai servizi preposti».

Il Gruppo Crc ha quindi raccomandato:

  1. al Parlamento l’approvazione di una legge che preveda la realizzazione, da parte delle Regioni, di almeno uno o più servizi specializzati, realizzati dagli enti gestori delle prestazioni socio-assistenziali, in grado di fornire alle gestanti, indipendentemente dalla loro residenza anagrafica e cittadinanza, le prestazioni e i supporti necessari affinché possano assumere consapevolmente e libere da condizionamenti sociali e/o familiari le decisioni circa il riconoscimento o il non riconoscimento dei loro nati;
  2. alla Commissione Stato-Regioni che assuma le necessarie iniziative per la piena attuazione della normativa vigente in materia di riconoscimento e non riconoscimento dei neonati e di tutela del diritto alla segretezza del parto, per la promozione di campagne informative al riguardo e l’attivazione di tavoli di lavoro multidisciplinari per la realizzazione di percorsi condivisi.

La proposta di legge n. 1010

In questa legislatura è stata presentata dall’On. Rossomando e da altri Parlamentari esponenti del Pd, del Pdl e di Scelta Civica la proposta di legge n. 1010 “Norme riguardanti interventi in favore delle gestanti e delle madri volti a garantire il segreto del parto alle donne che non intendono riconoscere i loro nati” che recepisce quanto scritto nella prima Racco­man­dazione suddetta. Il testo dell’articolo unico della proposta di legge è il seguente:

«1. al fine di garantire una uniforme attuazione in tutto il territorio nazionale delle disposizioni di cui all’articolo 8, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano assicurano l’informazione, la consulenza e le prestazioni socio-assistenziali diurne e residenziali occorrenti alle gestanti e alle madri che necessitano di specifici sostegni in ordine al riconoscimento o al non riconoscimento dei loro nati e alla garanzia della segretezza del parto.

«2. gli interventi di cui al comma 1, che costituiscono livello essenziale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, sono promossi dagli Enti locali titolari delle funzioni socio-assistenziali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328, secondo le modalità stabilite dalle leggi regionali e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.

«3. i soggetti di cui al comma 2 garantiscono, altresì, alle partorienti e ai loro nati i necessari interventi per la continuità socio-assistenziale e per sostenere il loro reinserimento sociale.

«4. gli interventi socio-assistenziali in favore dei neonati non riconosciuti sono garantiti dai soggetti di cui al comma 2 fino all’adozione definitiva;

«5. gli interventi di cui al presente articolo alle gestanti e alle madri sono erogati su semplice richiesta delle donne interessate senza ulteriori formalità, indipendentemente dalla loro residenza».

 

Il progetto informativo dell’Anfaa in collaborazione con il Comune di Torino

A livello torinese l’Anfaa, in collaborazione con il Comune di Torino, sta attivando il progetto “Mai più sole: partorire in tranquillità si può. La legge tutela la donna e il bambino che deve nascere. Informati: è tutto gratuito” che si propone di raggiungere gestanti e madri in difficoltà, con particolare riguardo alle condizioni delle donne extracomunitarie e di prevenire infanticidi e abbandoni di neonati, attraverso un’azione di prevenzione basata sulla corretta informazione sul diritto alla segretezza del parto.

L’obiettivo principale del progetto è la realizzazione di materiale informativo (dépliant e locandine) tradotto in diverse lingue che contenga informazioni sulla legislazione italiana in merito ai diritti della donna e del nascituro. Tale materiale sarà diffuso in ambiti nei quali, per motivazioni di diversa natura, accedono donne in difficoltà (reparti ospedalieri di maternità, servizi sociali, centri Caritas, centri d’ascolto, strutture e associazioni del terzo settore).

I destinatari del progetto sono, dunque, in primo luogo le gestanti in difficoltà ed i loro nati e in secondo luogo le associazioni e gli operatori degli enti pubblici e privati, con l’obiettivo di creare una rete sinergica fra il mondo del volontariato e i servizi che a vario titolo intervengono per competenza. Lo scopo innovativo del progetto è quello di raggiungere le donne che sfuggono ai normali circuiti assistenziali. Quindi può risultare di sicura efficacia individuare strategie volte a raggiungere le donne difficilmente raggiungibili, che rappresentano la categoria più facilmente esposte a queste esperienze.

Questo progetto rappresenta un aggiornamento della campagna di informazione dell’anno 2006 “Sos donna e parto segreto” promossa dall’Ulces (Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale) in collaborazione con la Provincia di Torino. Quest’ultima in quegli anni gestiva il numero verde 800231310 (Sos donna e parto segreto). Successivamente, a seguito della approvazione della legge della Regione Piemonte n. 16/2006, le competenze sono state trasferite al Comune di Torino.

 

 

(1) La sintesi dei lavori è stata pubblicata sulla rivista Il diritto di famiglia e delle persone,  volume XLI, luglio-settembre 2012.

(2) Il testo è disponibile al seguente link: http://www.grup­pocrc.net/IMG/pdf/6_rapporto_CRC.pdf.

(3) Crc è l’acronimo della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rights of the Child).

(4) Per leggere il testo integrale si veda www.parlamento.it/par­lam/leggi/00328l.htm.

(5) Legge della Regione Lombardia n. 1/2000, “Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 ‘Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle Regioni ed agli Enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59’” e legge della Regione Emilia Romagna n. 2/2003, “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” e successive modifiche.

(6) Si segnala che la rilevazione effettuata nel 2012 dall’Anfaa sull’attuazione della legge 328/2000 all’articolo 8, comma 5. Una sintesi della rilevazione è disponibile sul sito www.anfaa.it.

(7) La legge in vigore in Italia disciplina la materia attribuendo alcuni importanti diritti alla donna e tutelando comunque il diritto del minore: la donna ha il diritto di riconoscere o meno il neonato come figlio; il diritto alla segretezza del parto deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti; il Tribunale per i minorenni può disporre la sospensione dello stato di adottabilità per un periodo massimo di due mesi, su richiesta di chi afferma di essere uno dei genitori biologici; se il neonato non può essere riconosciuto perché il o i genitori hanno meno di 16 anni, l’adottabilità può essere rinviata anche d’ufficio dal Tribunale per i minorenni fino al compimento dei 16 anni di almeno uno dei genitori; un’ulteriore sospensione di due mesi può essere concessa al compimento del 16° anno di età dallo stesso Tribunale per i minorenni. La sospensione per 60 giorni può anche essere esplicitamente richiesta dalla partoriente previa richiesta al Tribunale per i minorenni per particolari e gravi motivi e mantenendo una continuità di relazione con il bambino.