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Raccontarsi a scuola

(a cura di Emilia De Rienzo e Claudia Saccoccio)

Riportiamo la lettera inviata da alcune famiglie socie della Sezione di Reggio Emilia rimandando al prossimo numero la risposta di Emilia De Rienzo. Invitiamo tutti i nostri lettori a inviarci le loro considerazioni in merito alla tematica posta alla nostra attenzione da queste famiglie in modo che il dibattito, arricchito dal vostro importante contributo, possa essere il più approfondito possibile.

Cara Emilia,

poco lontano da dove abitiamo si è recentemente verificata una situazione che ha guadagnato l’onore delle cronache e che ci ha costretti ad interrogarci profondamente.

Lo scenario è quello di una piccola cittadina di provincia, situata in una zona agricola; già da molto tempo le aziende del circondario attraggono manodopera di nazionalità indiana, cosicchè le famiglie indiane oggi stabilmente residenti sono una gran quantità.

Nel comporre le due nuove sezioni della locale Scuola dell’Infanzia (3-6 anni), gli incaricati hanno scelto di formare un primo gruppo di bimbi indiani ed un secondo gruppo misto di bimbi indiani ed italiani. La classe interamente “straniera” ha fatto sensazione rimbalzando sui titoli dei mass-media, ma coloro che si sono presi il disturbo di approfondire hanno compreso che la notizia vera non è questa.

Infatti è logico che nelle zone in cui nascono quasi soltanto bimbi di immigrati i servizi pubblici per l’infanzia siano in pratica riservati a loro: si è scoperto ben presto non essere questa la prima situazione in cui le insegnanti dovessero reinventare il proprio ruolo tra bambini tutti di cultura, lingua e costumi non italiani.

La notizia è che i genitori indiani hanno pubblicamente protestato contro la scelta dei dirigenti scolastici, affermando che in questo modo veniva negata ai loro figli una preziosa opportunità di integrazione. Dunque un’alternativa era possibile; dunque “c’era sotto” qualcos’altro. Dopo mille polemiche ed articoli di giornale infuocati, dopo pareri di esperti che generalizzavano la questione portandola spesso fuori dal seminato, crediamo di aver colto una questione cruciale: la scuola pubblica incriminata (si tratta di una Materna Statale) si riempie di bimbi “stranieri” in quanto le famiglie italiane hanno iscritto in massa i propri figli alla locale scuola privata. I genitori indiani chiedono di fare dei propri bimbi degli italiani, crescendoli insieme ai coetanei “autoctoni” … ma questi ultimi sono in fuga.

E’ stato facile per noi immedesimarci nella frustrazione di quelle mamme e di quei papà, nel loro desiderio di veder cadere ogni barriera di esclusione, se non nella propria almeno nella generazione successiva. Che accadrebbe infatti ai nostri figli che arrivano con l’adozione da altri paesi del mondo, se intorno a loro si facesse il vuoto?

In seguito, però, siamo scesi più a fondo: in quella situazione, noi da che parte ci saremmo schierati? E saremmo stati capaci di agire controcorrente, col rischio concreto di far sentire i nostri figli in netta minoranza, stranieri a casa loro? E sarebbe giusto che i principii da noi ritenuti sacrosanti e lungimiranti di integrazione e di inclusione venissero pagati a caro prezzo sulla pelle dei bambini?

Vorremmo conoscere il tuo parere su tutta questa materia, lo aspettiamo con impazienza. Per ora intuiamo confusamente che per noi adulti c’è davvero da rimboccarsi le maniche…

Grazie per l’attenzione.

Un gruppo di genitori adottivi
della Sezione ANFAA di Reggio Emilia

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