Famiglia e scuola a cura di Giuse Tiraboschi insegnante, laureata in pedagogia

La scuola fatica a trovare il desiderio e le parole per parlare di adozione, affidamento, e in generale di famiglia, vista la varietà di situazioni che si trova davanti.

Ancora peggio, non ne riconosce nemmeno il bisogno, e non si prepara adeguatamente, né dal punto di vista affettivo, né dei contenuti e delle problematiche legati a questi vissuti dei bambini e dei ragazzi. Sono considerati ancora come temi “caldi”, talmente aperti che non si sa dove possono portare, e poi …se sbagliamo a parlare, e poi c’è la privacy, ecc…

Allora si elude l’argomento, facendo finta che in classe le famiglie di appartenenza sono tutte uguali, perdendo una grossa occasione di crescita, dal punto di vista emotivo e culturale, e spesso facendo del male a chi magari avrebbe bisogno di maggiore attenzioni.

Oppure se ne parla, senza adeguata preparazione, rischiando di trasmettere messaggi scorretti, soprattutto se non concordati con la famiglia.

Parole di commiserazione, consolanti, ma non stimolanti, possono ad esempio non favorire la crescita. Così come pregiudizi personali, non sufficientemente elaborati, non aiutano la collaborazione con la famiglia. E ancora, la sovraesposizione di storie particolari non sempre viene vissuta in modo positivo.

Che cosa possono fare i genitori adottivi o una famiglia affidataria per rendere buoni i rapporti scuola- famiglia e tutelare i bambini e i ragazzi che stanno vivendo l’esperienza dell’adozione o dell’affidamento?

Di seguito alcuni suggerimenti derivati dall’ascolto di storie vissute:

  • Quando è possibile, prendere informazioni sulla scuola di inserimento, sul progetto formativo che la distingue, rispetto soprattutto alle metodologie di accoglienza che verranno messe in atto.
  • Scegliere il momento dell’inserimento (pensiamo soprattutto ad una scuola dell’infanzia, o ad una scuola primaria) non necessariamente legato all’età anagrafica dei bambini.
    E’ vero che le indicazioni ministeriali raccomandano di inserire nella classe corrispondente all’età, ma è anche vero che lasciano spazio a situazioni particolari, purché siano concordate con la famiglia.
  • Condividere subito con gli insegnanti la propria esperienza e la storia del proprio figliolo, a grandi linee, in modo che gli educatori conoscano con chi devono lavorare. Naturalmente vanno lasciati al privato gli aspetti più personali, per evitare il rischio di una valutazione soggetta al cosiddetto “effetto di alone “, influenzata dal contesto dell’apprendimento.
  • Mantenere nel tempo momenti di confronto, soprattutto quando la scuola affronta argomenti di studio scientifici, storici, religiosi, che facilmente possono portare a domande o approfondimenti di tipo familiare.
  • Tenere costante, in famiglia, l’attenzione verso segnali che possono risalire a disagi scolastici. Non solo le parole dette o taciute, ma i comportamenti non verbali possono mettere in allarme ed essere indicatori di bisogni.
  • Sostenere i nostri ragazzi e i nostri bambini con l’ascolto, lavorando molto sull’ autostima, perché la loro storia diventi anche la loro forza, e sappiano trovare le parole quando gli adulti, o i loro coetanei, faranno domande difficili.
  • Progettare in classe momenti di racconto e di confronto con altre storie familiari, per parlare con le parole giuste di nascita biologica e nascita “dal cuore” (qui la disponibilità sarebbe massima da parte della famiglia e della scuola)