torna all’indice del Bollettino 3-4 2012

Importante “compleanno”: lo scorso 12 dicembre abbiamo compiuto 50 anni! Per festeggiare questa ricorrenza abbiamo organizzato a Roma, nella Sala della Mercede della Camera dei Deputati il convegno dal titolo: “ADOZIONI NAZIONALI E INTERNAZIONALI. IERI, OGGI E DOMANI”. Il Convegno ha voluto ricordare l’imponente attività svolta della nostra Associazione, sin dalla sua fondazione ad opera di Francesco Santanera per ottenere una legge in materia di adozione centrata sul diritto dei bambini in situazione di adottabilità, ad avere una famiglia e non più basata sulle esigenze degli adulti, e le iniziative assunte inseguito per monitorare la sua effettiva applicazione e per far approvare le successive modifiche intervenute in materia di adozione nazionale e internazionale.

Nel corso di questo Convegno, inoltre, una particolare attenzione è stata dedicata ad una tematica di grande attualità e urgenza, che ha visto la nostra associazione, insieme ad altre organizzazioni, fortemente impegnata in questi ultimi anni: le esigenze ed i diritti delle gestanti e madri in gravi difficoltà, dei loro nati e la salvaguardia del diritto alla segretezza del parto.

 In questo bollettino riportiamo l’intervento introduttivo della attuale Presidente Donata Nova Micucci, una nota inviata al Convegno da Francesco Santanera e le relazioni a cura di Iliana Totaro e di un gruppo di figli adottivi su: “Gli aspetti fondanti del rapporto adottivo: la voce dei protagonisti: figli e genitori si raccontano”

Per ricordare i suoi 50 anni, inoltre, nel corso del 2013 saranno programmate diverse iniziative che continueranno fino a dicembre 2013.

Nel particolare abbiamo previsto:

– Week-end lungo a Villa Bifonica, vicino a Firenze, dal 25 al 28 aprile 2013; nell’ultima giornata si svolgerà l’Assemblea Nazionale dell’Asso­cia­zione (vedi programma preliminare all’interno del Bollettino).

– Pubblicazione di un opuscolo sull’attività svolta dall’Anfaa dal 1962 ad oggi, curato da Alberto Dragone.

– Saranno raccolti in un volume dal titolo “Adozione: Esperienze dalla parte di bambini senza famiglia” gli articoli scritti da Francesco Santanera, fondatore dell’Anfaa, pubblicati nel corso di questi ultimi anni sulla Rivista Prospettive Assistenziali. Il libro avrà la prefazione del noto giurista Massimo Dogliotti e della psicoterapeuta Marisa Pedrocco Biancardi.

– Campagna di raccolta fondi evidenziata nel box dedicato.

– Sito ANFAA nella nuova veste completamente rinnovata.

– Ulteriori manifestazioni sono previste dalle singole sezioni Anfaa: nel particolare è prevista a Lecce, in collaborazione con il Comune, una serie di eventi sul tema “Il diritto di tutti i bambini alla famiglia”, il cui programma è ancora da definire. 

 

Intervento introduttivo a cura di Donata Nova Micucci – Presidente Anfaa

Il 12 dicembre 1962 nasceva l’Anfaa! Sono dunque 50 anni che esistiamo, attivi giorno dopo giorno, con coraggio e determinazione, per affermare il diritto a crescere in una famiglia di tutti i minori rimasti privi – temporaneamente o definitivamente – dell’indispensabile assistenza – materiale e morale da parte dei genitori biologici, promovendo – in primo luogo – gli interventi diretti ad assicurare alle famiglie d’origine i necessari servizi sociali e assistenziali e, in secondo luogo, garantendo loro una famiglia adottiva o affidataria, secondo le diverse situazioni.

Vogliamo ripercorrere con voi le tappe più significative del nostro impegno associativo.

Al momento della costituzione dell’Anfaa nel 1962, i minori ricoverati in istituto erano 300mila. L’istituzionalizzazione era allora l’intervento assistenziale largamente prevalente: non vi era alcuna informazione in merito alle terribili conseguenze, spesso irreparabili, della carenza di cure familiari sullo sviluppo dei bambini, nonostante che gli studi di Spitz e Bowlby ne avessero già denunciato la drammaticità.

Non vi erano interventi di aiuto alle famiglie di origine e non esisteva alcuna iniziativa in merito all’affidamento familiare, anche se erano ancora vigenti le norme del regio decreto 15 aprile 1926 n. 718: queste disposizioni creavano una odiosa distinzione fra i bambini legittimi e quelli nati fuori dal matrimonio ( allora chiamati illegittimi: termine questo che ha tutto un significato negativo e che, purtroppo, è tuttora usato da molte persone) in quanto sancivano che i primi potevano essere ricoverati in istituto solo qualora non ci fossero famiglie affidatarie disponibili, mentre per gli altri l’affidamento familiare poteva essere disposto solo a condizione che non ci fosse posto in istituto. La legge sull’adozione, esistente allora, aveva l’esclusiva finalità di assicurare discendenti alle persone singole e ai coniugi senza figli. Non esisteva alcun diritto all’adozione da parte dei bambini che si trovavano in situazione di privazione totale di cure materiali e morali, ivi compresi i cosiddetti “figli di ignoti”, cioè quelli non riconosciuti alla nascita. Il minore che veniva adottato poteva, indifferentemente, essere circondato dall’affetto dei suoi genitori o versare in situazione di totale abbandono; in ogni caso, occorreva il consenso dei genitori, non si rompevano i rapporti con la famiglia d’origine, né cambiava lo status giuridico dell’adottato e tale adozione non creava alcun rapporto di parentela con gli altri componenti il nucleo familiare dell’adottante.

Ovviamente non era previsto alcun accertamento sulle capacità educative degli adottanti, che dovevano però aver compiuto almeno 50 anni (40 in casi eccezionali): anche un ottantenne poteva adottare un neonato.

Esisteva inoltre l’istituto giuridico dell’affiliazione sorto nel 1939 (poi soppressa nel 1983) con lo scopo di assicurare manodopera gratuita soprattutto ai contadini senza prole.

Nel campo assistenziale vi era la presenza di 50 mila enti, organi e uffici pubblici di assistenza, il che creava una enorme difficoltà, e in certi casi, l’impossibilità assoluta di individuare quale fosse l’ente tenuto a intervenire, con l’ovvia conseguenza di creare confusione, sprechi, sovrapposizioni e, in misura maggiore, vuoti di intervento. Basti pensare che solo per gli orfani esistevano 20-25 enti!

Per i minori privi di famiglia o con famiglia in difficoltà, la linea perseguita era quella di riconoscere, nell’intervento assistenziale, la priorità del ricovero in istituto. E su questa linea concordavano tutti: autorità (sia del mondo civile che ecclesiale), operatori e anche associazioni e volontari operanti nel settore assistenziale. Gli obiettivi che si davano erano quelli di un vago miglioramento della situazione: una maggiore preparazione del personale, un generico coordinamento – e non unificazione – tra gli enti esistenti…

Constatando la situazione decisamente negativa in cui versavano migliaia e migliaia di bambini privi di famiglia o con una famiglia in difficoltà, Francesco Santanera decise nel 1962 di fondare l’Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affilianti in seguito denominata, dopo la soppressione dell’istituto dell’affiliazione, Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie.

Sin dalla sua costituzione l’Anfaa si è posta degli obiettivi precisi e si è impegnata innanzitutto affinché scopo dell’adozione fosse quello di dare una famiglia ai minori in situazione di privazione di assistenza materiale e morale, «sempre tenendo presente che l’interesse prevalente da tutelare è quello del bambino» (così come affermato nel suo statuto) e affinché a ogni bambino in questa situazione fosse riconosciuto il diritto ad avere una famiglia.

Le principali iniziative assunte dall’Anfaa nel periodo che va dalla sua costituzione alla approvazione della legge sull’adozione speciale n. 431/1967, sono state:

  • azione di informazione e di denuncia all’opinione pubblica – al fine di coinvolgere la popolazione e le forze sociali e, di conseguenza, le autorità (Governo, Parlamento, Consigli comunali e provinciali) – dei danni gravissimi subiti dai 300mila minori a causa del loro ricovero in istituto e delle profonde sofferenze di questi bambini;
  • denuncia delle anacronistiche finalità dell’adozione allora in vigore e susseguente azione per dare una vera famiglia ai bambini che ne erano privi;
  • denuncia della caotica situazione del settore dell’assistenza sociale (assurdo numero di enti, frammentazione delle competenze, vuoti di intervento, ecc.);
  • esposti penali alla magistratura soprattutto nei riguardi degli istituti di ricovero privi dell’autorizzazione preventiva a funzionare e nei confronti dell’Omni (Opera nazionale maternità e infanzia che fu poi sciolta nel 1975) per la mancata vigilanza.

Queste azioni sono sempre state accompagnate da proposte alternative quali quelle della richiesta della unificazione delle competenze, e non del semplice coordinamento fra gli enti, la richiesta di assicurare in via prioritaria, gli aiuti adeguati alla famiglia di origine in difficoltà e la reimpostazione della normativa in materia di ’adozione con il riconoscimento del prevalente interesse del bambino senza famiglia.

Per poter essere liberi da ogni condizionamento e vincolo nel raggiungimento dei nostri obiettivi, la scelta operata dall’Anfaa è stata quella di non svolgere attività gestionale.

Per quanto riguarda l’adozione infatti, vi era necessità di far approvare un testo legislativo che avesse la finalità non più di dare un erede alle persone senza figli, ma di garantire una valida famiglia ai minori in situazione di abbandono materiale e morale. L’Anfaa stessa ha provveduto alla redazione del testo base della proposta di riforma dell’adozione.

Preso atto dell’ovvia impossibilità da parte dell’Anfaa di raggiungere gli obiettivi sopra indicati da sola, si è svolta una intensa attività per ottenere l’assunzione del problema da parte di altre organizzazioni (associazioni di giuristi, magistrati, Province e Comuni, altri gruppi) richiedendo loro di farsene carico direttamente. Nei casi in cui ciò non è stato possibile, si sono attivate iniziative promosse direttamente dall’Anfaa chiedendo ai suddetti enti di sostenerle.

Molto importanti, per contrastare le forti opposizioni che si avevano – sia dal mondo laico che religioso – all’approvazione della nuova legge sull’adozione, si sono dimostrati gli interventi di neuropsichiatri, giornalisti, pediatri e di rappresentanti della Chiesa cattolica, come i gesuiti Padre Salvatore Lener e Giacomo Perico.

Determinante la presa di posizione del Concilio ecumenico Vaticano II, che a seguito delle sollecitazioni dell’Anfaa, confermò infatti i nuovi indirizzi sull’adozione con la seguente affermazione contenuta nel Decreto sull’apostolato dei laici (votato il 18/11/1965 con 2340 sì e 2 no): “Fra le varie opere di apostolato familiare ci sia concesso enumerare le seguenti: adottare come figli i bambini abbandonati”.

Da notare che l’espressione latina del testo “infantes derelictos in filios adoptare”, dice molto di più dell’espressione italiana autentica “adottare come figli i bambini abbandonati”. “In filios” (facendoli diventare propri figli) esprime, giustamente, la risultanza effettiva di piena filiazione, mentre “come figli” può sembrare semplicemente un paragone.

L’approvazione della legge n. 431/1967 sull’adozione speciale (così si chiamava allora) ha segnato una vera rivoluzione copernicana. Per la prima volta il legislatore poneva al centro dell’attenzione i diritti del bambino e non più quelli dell’adulto senza figli. Con l’adozione speciale il bambino acquisiva lo stato di figlio legittimo degli adottanti e si interrompevano i legami e i rapporti con la famiglia di origine. Veniva sancito il diritto del bambino in situazione di privazione di cure materiali e morali ad avere una famiglia adottiva. L’adozione speciale riguardava però solo i bambini fino agli otto anni di età e non veniva abolita l’adozione ordinaria.

Una volta approvata questa legge, sono state attivate anche iniziative per il lancio dell’affidamento familiare mediante convegni e la promozione di delibere istitutive del servizio di affidamento familiare.

La prima fase dell’attuazione della legge 431/1967 è stata caratterizzata da un’opposizione, a volte durissima, degli istituti di assistenza, in particolare quelli religiosi, e da una forte carenza di organici e di preparazione degli enti di assistenza e del relativo personale. Al riguardo i principali interventi dell’Anfaa e dell’Ulces sono stati quelli di denuncia penale della Presidente nazionale dell’Omni e dei dirigenti di molti istituti di assistenza. Alcuni processi sono stati celebrati.

Sono state anche effettuate delle indagini sugli istituti che omettevano o falsificavano le segnalazioni dei minori ricoverati. Numerosi sono stati i convegni, seminari di studio organizzati e i dibattiti e gli interventi radiofonici e televisivi e la pubblicazione di articoli su riviste specializzate e non.

È proseguita e si è intensificata l’attività di ricerca di alleanze con altri gruppi, creando anche forme di coordinamento. L’Anfaa, nella persona di Giuseppe Cicorella, allora Presidente della sezione Lombarda e successivamente Presidente Nazionale, nel 1968 ha promosso la costituzione del Ciai, Centro italiano per l’adozione internazionale (ora Centro italiano aiuti all’infanzia) che ha realizzato le prime adozioni di bambini stranieri in Italia rese possibili dal fatto che la legge del 1967 sull’adozione allora denominata “speciale” prevedeva espressamente il conferimento della cittadinanza italiana ai minori stranieri adottati con adozione legittimante. Si sono poi avviate iniziative specifiche per l’adozione e l’affidamento di bambini grandicelli e handicappati.

Negli anni successivi il nostro impegno è stato rivolto alla campagna per l’approvazione di una legge che perfezionasse la normativa in vigore e che prevedesse: la soppressione dei vecchi e superati istituti dell’adozione tradizionale e dell’affiliazione, l’innalzamento fino a 18 anni dell’età dei minori adottabili con l’adozione legittimante, l’abbassamento da 45 a 40 anni della differenza massima di età tra adottante e minore adottato, tenuto conto dell’alto numero di domande di adozione già allora largamente superiore ai bambini adottabili, l’inserimento di norme per regolamentare l’affidamento familiare e per disciplinare l’adozione internazionale in modo, per quanto possibile, identico all’adozione nazionale.

Si è arrivati così, sotto la presidenza di Giorgio Pallavicini, la cui intelligente, lungimirante figura ricordiamo con affetto e commozione – all’approvazione della legge n. 184/1983. Questa legge stabilisce il diritto del bambino alla famiglia: innanzitutto quella in cui è nato e, quando ciò non è possibile, a una famiglia affidataria o adottiva a seconda dei casi.

Grazie a queste leggi 140/150 mila bambini italiani e stranieri hanno trovato una famiglia adottiva; decine di migliaia di bambini e ragazzi sono stati inseriti in una famiglia affidataria, evitando così il ricovero in istituto. Numerosi sono stati i minori istituzionalizzati che sono rientrati nelle proprie famiglie d’origine.

Purtroppo, la normativa in questa materia, ha registrato un preoccupante arretramento nella prioritaria tutela dei diritti dei bambini adottabili, con l’approvazione, il 28 marzo 2001, della legge n. 149 di modifica della legge del 1983 in quanto, accanto a norme positive quali la prevista chiusura degli istituti (peraltro realizzata senza un’adeguata verifica circa la reale conversione in comunità di tipo familiare, delle vecchie strutture residenziali), vede modifiche alla legislazione allora vigente, negative e deleterie, rispondenti più a presunti diritti degli adulti che alle reali esigenze dei minori in stato di adottabilità.

Riteniamo infatti contrario all’interesse dei bambini adottabili aver elevato la differenza massima di età fra adottanti e adottando a 45 anni, differenza ulteriormente prorogabile in circostanze specifiche a discrezione del Tribunale per i minorenni, quando già con la normativa precedente, il numero delle domande era di gran lunga superiore rispetto al numero dei minori adottabili.

Purtroppo quest’ultima ha anche introdotto, disciplinandola legislativamente, la possibilità di accesso dei figli adottivi adulti all’identità dei genitori biologici. Come più volte abbiamo affermato, disciplinando a livello legislativo le modalità di accesso degli adottati maggiorenni alla identità dei loro procreatori, il Parlamento ha mortificato il ruolo dei genitori adottivi, trattandoli come “allevatori” e ha affermato, nei fatti, l’indissolubilità del legame di sangue, disciplinando e dando legittimità giuridica alla ripresa di rapporti fra adottati e procreatori, rapporti che, nella realtà, hanno avuto conseguenze negative e spesso devastanti. È questo un vero colpo al cuore dell’adozione intesa come genitorialità e filiazione vere: riconoscere un ruolo a chi non ha provveduto a fornire al bambino, le necessarie cure affettive ed educative, privandoli della dovuta assistenza materiale e morale, significa soprattutto disconoscere per tutte le famiglie – in primo luogo quelle biologiche – l’importanza e la preminenza dei rapporti affettivi ed educativi sullo sviluppo della personalità dei figli.

Attraverso l’adozione, l’adottato diventa figlio legittimo degli adottanti che ne diventano genitori a pieno titolo: l’adozione dei minori può essere considerata una seconda nascita, che non annulla la prima ma che non ne conserva alcun legame giuridico.

Il numero dei minori ricoverati si è drasticamente ridotto dai 300mila del 1962 ai 15.500 di oggi (purtroppo non si hanno dati precisi!). Sono ancora molti, troppi ed è una situazione che non possiamo accettare. Come Anfaa siamo impegnati per arrivare all’obiettivo della chiusura effettiva di tutti gli istituti per i minori, chiusura che deve essere la conseguenza della creazione e realizzazione dei servizi alternativi. Anche se ufficialmente dal 2006 si è arrivati a una chiusura “sulla carta” dei vecchi istituti, dobbiamo constatare come purtroppo nella realtà dei fatti, anche a causa di una legislazione carente in materia sia a livello nazionale che regionale non vi è stata una reale trasformazione di queste strutture in reali comunità di tipo familiare, come la legge prevede, ma una mera riconversione di facciata dei vecchi istituti. Consideriamo istituti da superare, infatti, sia quelli tradizionali (ufficialmente chiusi nel 2006), sia quelli “camuffati” in comunità quali ad esempio i villaggi Sos e le strutture organizzate nei cosiddetti gruppi-appartamento.

Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile ottenere l’istituzione in ogni Regione dell’anagrafe dei minori ricoverati e continuare nell’azione di richiesta e di pressione nei confronti degli enti locali per obbligarli ad approvare delibere specifiche e ad assumere tutti quei provvedimenti necessari per la istituzione dei servizi alternativi affinché non si proceda più nuovi ricoveri e si avviino al più presto iniziative per la sollecita dimissione dei minori ora ricoverati (ritorno presso la famiglia di origine o inserimento in famiglie affidatarie o adottive). La priorità dovrà essere data ai bambini della fascia 0-6 anni, in considerazione dei danni che soprattutto i più piccoli dal ricovero, anche se per un breve periodo, in istituto. In particolare, in considerazione delle loro particolari esigenze affettive, per i bambini piccolissimi della fascia 0/3 anni dovrebbe essere superato anche l’inserimento, anche per breve periodo, in comunità, elaborando progetti specifici per l’individuazione, la preparazione e il sostegno di famiglie affidatarie di pronto intervento.

Una particolare azione dovrà essere intrapresa per garantire a tutti i minori dichiarati adottabili, compresi quelli malati o portatori di handicap, che ancora non trovano una famiglia, un tempestivo inserimento in una famiglia adottiva chiedendo alle istituzioni l’impegno per garantire alle famiglie che offrono la loro disponibilità tutti i supporti necessari.

Dovranno essere sollecitate delibere specifiche per continuare a sostenere gli affidamenti anche dopo il raggiungimento dei 18 anni del soggetto.

Purtroppo né la legge di riforma dell’assistenza n. 328/2000 né la n. 149/2001 che ha modificato la legge n. 184/1983, hanno previsto interventi obbligatori esigibili da parte degli assistiti e l’impegno nostro e delle altre associazioni di tutela dei diritti della fascia più debole della popolazione deve essere volto prioritariamente verso le Regioni per ottenere disposizioni legislative atte a rendere il diritto alla famiglia per tutti i bambini, un diritto realmente esigibile e per chiedere loro di assumere i provvedimenti necessari per assicurare a tutti i bambini – compresi quelli handicappati o malati – il diritto a crescere in famiglia e ad obbligare i Comuni singoli o associati a istituire gli interventi necessari. Per questo in diverse Regioni italiane (Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Toscana, ecc.) sono state promosse negli anni scorsi, dall’Anfaa e dal Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base (cui l’Anfaa aderisce) e da altri gruppi, raccolte di firme su petizioni popolari per richiedere ai Presidenti della Giunte e dei Consigli regionali un impegno preciso in tal senso.

Un particolare impegno, anche sul piano culturale, dovrà essere dedicato per affermare il valore della preminenza dei legami affettivo-educativi, rispetto a quelli biologici. Questo concetto è di basilare importanza non solo per la genitorialità e la filiazione adottiva, ma anche e soprattutto per la genitorialità e filiazione biologica: noi siamo figli e genitori a pieno titolo in virtù dei legami affettivi ed educativi indipendentemente dai legami biologici e dai vincoli di sangue.

 

Il futuro

Per realizzare questi obiettivi, l’ANFAA dovrà continuare nel suo lavoro di analisi, di raccolta di informazioni e di coinvolgimento di altre organizzazioni e ad attivarsi sempre di più nella ricerca di energie e forze sufficienti ad affrontare nel modo migliore l’impegno arduo che ancora l’aspetta. Si augura quindi che, come è accaduto lungo i cinquant’anni della sua attività, sia possibile contare sull’aiuto di altre decine, centinaia di volontari attenti alle esigenze e ai diritti dei bambini con gravi difficoltà familiari o in stato di adottabilità.

Altrettanto importante sarà, come già in passato, il contributo delle altre associazioni, degli operatori sociali, dei magistrati e degli enti pubblici e privati che intenderanno continuare ad impegnarsi, insieme con noi, con gli stessi obiettivi.

Ricordiamo che soci dell’Anfaa possono essere non solo adottati, adottanti, affidati, affidatari, ma anche tutti i cittadini che dimostrano un particolare impegno per garantire un’adeguata tutela familiare e sociale ai minori con gravi difficoltà familiari o in stato di adottabilità.

In considerazione della nostra scelta di impegno nel campo del volontariato di promozione dei diritti, le risorse economiche dell’Anfaa, si basano esclusivamente sulle quote associative di iscrizione dei soci e sui contributi dei sostenitori e per proseguire più efficacemente nella nostra azione, abbiamo bisogno anche di un sostegno economico da parte di tutti coloro che hanno a cuore il futuro di tanti minori ancora privati del diritto a crescere in una famiglia.