Come Anfaa condividiamo e trascriviamo l’intervento con la denuncia pubblicata su Facebook da #IlCorpoEstraneo:

Il modo in cui i media, TUTTI: carta stampata, TG e approfondimenti, testate social hanno trattato la vicenda della giovane mamma di origini sarde che ha lasciato il figlio al sicuro in ospedale dopo la nascita, è VERGOGNOSO.
Non so nemmeno da che parte iniziare a commentare le modalità descrittive dei giornalisti alla luce del contorno di gossip, pietismo, voyerismo, sovraesposizione, morbosità, perdita del senso della misura e molto molto altro, purtroppo.
Voglio mettere in evidenza i due principali elementi dannosi di questa vicenda sapendo di tralasciarne molti altri che sono comunque utili all’analisi.
LEGAMI DI SANGUE – Grazie all’infaticabile lavoro dei giornalisti di cronaca che si sono buttati come avvoltoi su una situazione che doveva rimanere privata (ma a Natale era imperdibile come lo zucchero a velo sul pandoro) sappiamo fin troppi particolari della vita di questi due giovani genitori. Ovviamente non sono risparmiati tutti i dettagli – che non riporto – che ce li fanno immaginare in una situazione di estrema fragilità (compresi dettagli sanitari e foto del luogo in cui vivono). Non tutte le persone che hanno bisogno di aiuto possono essere aiutate, a volte banalmente perché non sono pronte a ricevere aiuto. Non significa, ovviamente, che le persone debbano essere lasciate a loro stesse se non vogliono ricevere aiuto ma può capitare che avvenga una situazione intempestiva come una gravidanza per cui non sempre è possibile aspettare i tempi (medi, lunghi, lunghissimi, eterni, chi può saperlo…) di recupero di madri, padri, genitori.
Il rifiuto della madre di andare in un luogo sicuro con il neonato per non lasciare solo il compagno è già un indicatore evidente per chi si occupa quotidianamente di cura delle persone più fragili. Ma al di là di ciò, la scelta di una donna di non crescere il neonato appena partorito è consentito dalla legge e comunque garantita dal buon senso.
In questo frangente, invece, è emersa prepotente nei commenti la retorica dei legami di sangue da una parte e dell’indissolubilità del legame madre-figlio dall’altra. Quest’ultima, in particolare, mi ricorda sia la narrazione colpevolizzante sull’aborto così come la conosciamo, in cui è necessariamente doloroso e traumatico, che il lavoro di Donath sul tabù (rimosso) del rimorso di aver generato uno o più figli (“Pentirsi di essere madri”, Bollati e Boringhieri 2017).
Infatti, i commenti si muovono unanimi verso una sola direzione, la giovane donna va aiutata per non rompere il legame di sangue col suo piccolino (perché se ne pentirà, perché sarà un trauma, perché è innaturale, perché il figlio crescerà con estranei, ecc.). Ora, sebbene il principio che è sotteso a tutto il sistema adottivo debba essere un faro per tutti noi, ossia che i bambini debbano prioritariamente vivere con la famiglia che li ha generati, questo – secondo me – non deve avvenire perché il sangue chiama, perché le mele e gli alberi, perché il DNA e tutto il resto. Se pensiamo questo l’adozione è sempre e solo il piano B di qualcuno per qualcun altro che sarà sempre e solo un povero “sfigato” con il karma sbagliato alla nascita. Cioè o pensiamo che i legami di sangue non sono così tanto indissolubili e quindi possiamo prevedere famiglie fra le famiglie quelle adottive, con i loro legami, valori, affetti, storie e tutto il resto, oppure se pensiamo che i legami di sangue muovano il mondo e il familismo allora fermiamo le adozioni, perché stiamo tenendo in piedi un circo. Tertium non datur. Questo vale anche per questo bambino, che certamente avrebbe potuto vivere con la mamma e il papà se la sua nascita fosse stata più tempestiva (ossia avvenuta in una fase di recupero per questi due ragazzi), se la mamma non avesse consapevolmente deciso di rinunciare alla sua maternità autodeterminandosi. E anche questo va rispettato. Basta colpevolizzazioni e pietismi.

PRIVACY DELLE INFORMAZIONI – C’è in giro un livello di morbosità su questa storia che fa paura. In foto vedete anche l’Unione Sarda che è andata a rintracciare i genitori della ragazza per avere ancora più particolari sulla sua vita di prima e ravanare nel torbido. Da rimanere basiti e sconcertati. Tutti conosciamo data di nascita del bambino e l’ospedale in cui è avvenuta, con tanti saluti alla privacy in generale e alla segretezza che dovrebbe essere concessa ai casi di adozione in particolare. I suoi dati sono esposti e sappiamo che l’oblio non aiuta in rete per cui da una ricerca google, magari fatta da lui non al momento giusto in termini evolutivi e di consapevolezza, vedrà enne particolari del suo concepimento, nascita e vita dei genitori che avrebbe certamente potuto avere ma magari filtrati oppure accompagnati. Non sappiamo, invece, come questo avverrà. Abbiamo lasciato semi avvelenati nel suo futuro.
E’ una cosa su cui in questa pagina si torna spesso, come mediare fra il diritto di cronaca e la riservatezza che queste situazioni meritano. Basterebbe non voler alimentare la morbosità delle persone con particolari inutili, degradanti più sulla sponda dell’intrattenimento e del facile clickbait che della cronaca. D’altra parte, la stessa Cassazione dispone che il diritto di cronaca deve avere come limite (oltre al Codice deontologico dei giornalisti che vabbè) l’interesse pubblico e il rispetto della “continenza” (sentenza 8 maggio 2012, n. 6902). Ma su questo punto la strada è davvero lunga.
#IlCorpoEstraneo        Qui il testo in pdf corpo estraneo