La corretta informazione

 

Il diritto alla verità

Poiché nessun rapporto umano, che ambisca alla stabilità, può prescindere dal valore della sincerità reciproca, riteniamo che ogni genitore dovrebbe sentire la necessità di informare correttamente il proprio figlio della sua provenienza e della sua storia.

Il legislatore sembra condividere la centralità di questo assunto nel momento in cui riconosce al minore adottato, nell’art. 28, c.1, l. 184/83 e s.m.i., il diritto di essere “informato di tale sua condizione”, richiedendo ai genitori adottivi di provvedervi “nei modi e termini che essi ritengono più opportuni”.

Il fatto che gli aspiranti adottivi manifestino il desiderio o rifiutino l’ipotesi di rivelare al bambino la sua origine può costituire elemento di valutazione per la scelta da parte del tribunale per i minorenni.

Quando comunicarlo

L’informazione non va confusa con la “rivelazione”: non si tratta di raccontare un fatto storico in un certo momento ed una volta per tutte.

Al contrario secondo noi una corretta informazione si dovrebbe, per dir così, “incarnare” nella quotidiana esplicitazione di un rapporto d’amore che per crescere ha bisogno di sincerità, chiarezza e continuità.

Ciò significa, in concreto, che il figlio adottivo dovrebbe crescere nella consapevolezza di essere “nato” biologicamente da altri, coltivando la certezza che la sua nuova famiglia sarà sempre disponibile ad ascoltarlo e a rispondere alle sue richieste di conforto e di aiuto.

Il figlio adottivo è portatore di un vissuto pregresso, spesso doloroso, che non deve essere minimizzato o ignorato, ma raccontato e spiegato.

Se un figlio si sente accettato per quello che è, con la sua storia e i suoi ricordi, verosimilmente sarà più disponibile ad esprimere liberamente le ansie e le frustrazioni legate al proprio passato, accogliendo con fiducia l’aiuto e il sostegno che i genitori adottivi potranno offrirgli.

La verità negata o comunicata con eccessivo ritardo può incrinare irreversibilmente il patto fiduciario stipulato tra l’adulto e il bambino, con conseguenze non sempre prevedibili.

Un genitore adottivo reticente o timoroso, può dare l’impressione di non aver assunto il proprio ruolo con convinzione e di vivere l’adozione come una soluzione di ripiego, rispetto ad un rapporto biologico inconsciamente preferito.

Non a caso, la richiesta di conoscere le proprie origini biologiche viene avanzata frequentemente da parte di quei figli adottivi che non sono stati tempestivamente o correttamente informati. Costoro infatti, delusi dalle reticenze o dalle bugie dei genitori adottivi, nel tentativo di riscrivere inutilmente la loro storia, cercano di instaurare un nuovo legame con coloro che li hanno procreati, illudendosi di trovare in costoro affetto e sicurezza e trovando invece molto spesso persone estranee e problematiche, certamente inadeguate a rispondere ai loro bisogni e a stabilire alcun valido rapporto

In che modo raccontare

L’informazione va ovviamente adeguata alla sensibilità e alla maturità psicologica del bimbo.

Quando è molto piccolo, il primo strumento utile può essere quello della “spiegazione-racconto” del periodo che ha preceduto l’adozione, della trepidante attesa di mamma e papà, del primo gioioso incontro magari in un Paese lontano…

Se il bimbo è in età scolare si possono utilizzare pubblicazioni o rappresentazioni cinematografiche che, sotto forma di racconto, fumetto o cartone animato, narrano l’adozione. La lettura o la visione accompagnata dalla spiegazione del genitore può stimolare il bimbo a fare delle domande sulla propria condizione di figlio adottivo, facilitando il dialogo tra genitore e figlio. Anche lo sfogliare insieme un album fotografico, narrando le emozioni dei momenti rappresentati, può essere di grande aiuto.

Sembra proprio che sia esperienza comune di tutti i bambini piccoli o grandicelli, adottivi e non, voler sapere come sono nati e come sono stati accolti, come erano da piccoli, che cosa facevano, chi si prendeva cura di loro … Tutti i bambini sono appassionati dal racconto degli adulti sul loro passato e spesso amano riascoltare quanto hanno già udito più volte. Il bisogno di scoprire la propria origine risponde in realtà a un più latente bisogno di appartenenza e di identità.

Un racconto sereno e frequente della storia di questa seconda nascita avvenuta con l’adozione potrà certamente conseguire il risultato di rassicurare il figlio adottivo in merito al fatto di essere stato cercato, desiderato, atteso e amato fin dall’inizio, appagando totalmente, almeno in un primo momento, i suoi interrogativi.

La verità narrabile

Al primo livello di conoscenza sopra descritto ne segue sempre un altro ben più profondo e, talvolta, doloroso.
Le differenze somatiche del bimbo che arriva da un Paese straniero o le prime curiosità legate alla procreazione potranno far sorgere domande più precise sulla famiglia d’origine, sulle motivazioni dell’abbandono…Alcuni figli chiedono di vedere la documentazione consegnata ai genitori adottivi o di visitare i luoghi della loro infanzia.

Ai genitori adottivi viene affidato l’arduo compito di “riempire il buco della memoria” e di gestire le richieste del proprio figlio.

Si parla a questo proposito della cosiddetta verità narrabile, quale cardine portante della legittimazione genitoriale e, per il bambino adottato, della sua identità adottiva. Verità che si concreta nella spiegazione di un’origine in cui devono trovare posto le persone che hanno generato il bambino, rispettando gli eventi reali antecedenti l’adozione. In questo modo troveranno una loro collocazione la rinuncia o le incapacità che hanno legittimato la perdita del ruolo genitoriale dei procreatori biologici e, contemporaneamente, il desiderio dei genitori adottivi di diventare genitori veri di bambini generati da altri.

Non è necessario, e alcune volte neppure possibile e consigliabile, dire tutto, e ciò per un duplice ordine di motivi:

  • i genitori adottivi potrebbero non conoscere i particolari più significativi della storia del proprio bambino, dal momento che, ai sensi di legge, dovrebbero essere informati solo dei “fatti rilevanti relativi al minore emersi dalle indagini” e comunicati loro dal Tribunale
  • alcune informazioni precise e circostanziate, magari deducibili dalla documentazione consegnata dalle Autorità del Paese di origine (copie degli atti giudiziari, fotografie, riferimenti precisi a persone e luoghi facilmente rintracciabili…), potrebbero ferire la sensibilità del bambino, turbando il suo equilibrio psicofisico.

Di fronte a questo compito i genitori si trovano spesso un po’ impreparati e intimoriti. La maggior parte di essi teme, infatti, che una risposta precisa possa provocare al figlio un trauma legato al pensiero di essere stato abbandonato oppure che quest’ultimo a seguito dell’informazione possa andare alla ricerca dei genitori biologici, riconoscendo soltanto in questi ultimi i veri genitori.

Questi frequenti comprensibili timori rendono ancora più evidente il ruolo centrale rivestito dai Servizi Sociali sia nella fase della selezione delle coppie che nella fase dell’inserimento del bambino in famiglia durante l’affidamento preadottivo e anche dopo. I genitori adottivi vanno infatti gradualmente preparati a misurarsi con queste difficoltà e ad intendere la “curiosità” del loro figlio adottivo non come un attacco alla filiazione adottiva, ma come il riconoscimento della sua specificità e diversità. Il figlio adottivo vuole essere accolto ed accettato interamente, con il suo passato, i suoi ricordi e le sue curiosità.

 Scheda a cura dell’Anfaa

 

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